lunedì 1 agosto 2016

L’insostenibile leggerezza dell’Università (in parziale confutazione di “Ma l’università non deve insegnare un lavoro” di Francesco Ferrante).


Ho scritto il post qui sotto riportato dopo aver letto il contributo del Prof. Francesco Ferrante pubblicato il 24 giugno scorso sul sito web lavoce.info e che potete leggere nella sezione "Argomenti" "Scuola e Università" del sito . Lavoceinfo ha pubblicato il mio commento, seppur in versione leggermente ridotta (5.000 battute spazi inclusi max ......). Qui sotto trovate la versione originaledel mio commento

L’insostenibile leggerezza dell’Università (in parziale confutazione di “Ma l’università non deve insegnare un lavoro” di Francesco Ferrante). 

Quale deve essere il ruolo dell’Università? Se mi è consentita la semplificazione, la tesi esposta dal Prof. Francesco Ferrante è che l’Università dovrebbe “fornire competenze generali, e, solo parzialmente, professionalizzanti”. Il compito di “insegnare un lavoro” spetterebbe invece ad altri, le imprese, i datori di lavoro, la collettività, insomma al variegato universo in cui oggi, appena usciti all’Università, si trovano spesso a vagare i neolaureati in cerca di un lavoro. Ciò in quanto, considerata la accresciuta “velocità” dei mutamenti tecnologici e sociali che caratterizzano il mondo attuale, percorsi formativi troppo professionalizzanti correrebbero il rischio di divenire rapidamente obsoleti, e quindi del tutto inutili per lo scopo a cui essi pure dovrebbero dichiaratamente essere destinati, per l’appunto la “professionalizzazione” degli studenti.

La tesi si presta ad alcuni commenti. In primo luogo occorre osservare che, se adottata in maniera acritica, essa potrebbe essere strumentalmente utilizzata per offrire una giustificazione ideologica a quello che tradizionalmente è stato forse il maggior difetto di una parte del mondo accademico, italiano e non solo, quello della autoreferenzialità.

A ciò si aggiunga che nell’interrogarci sul ruolo dell’Università, dovremmo anche tener conto degli interessi di tutti gli stakeholders coinvolti, quelli delle imprese e, ancor prima, quelli dei giovani che si accingono ad intraprendere un percorso universitario. Gli aspiranti universitari probabilmente rimarrebbero quantomeno perplessi nel sentirsi dire platealmente ed esplicitamente che “no, l’Università non deve fornirti delle competenze professionalizzanti (i.e. “non ti insegna un lavoro”), quelli sono problemi di qualcun altro”. E per la verità non è certo questo il messaggio che ritroviamo sui siti di molte Università che anzi, per porre rimedio al calo degli iscritti, spesso pongono al centro della loro comunicazione promozionale proprio il job-placement post-laurea e le future prospettive di lavoro, sottolineando con malcelata soddisfazione, quando per loro possibile, l’alta percentuale di neolaureati che trovano un lavoro appena usciti dall’Università. Il senso del messaggio, promozionale quanto si vuole, e quindi con tutti i limiti dell’advertising, non è tanto fondato sull’Università che fornisce “competenze generali”, e che potrebbe quindi essere percepita come altra rispetto al mondo del lavoro, quanto piuttosto sull’idea che l’Università possa e debba rappresentare per i neolaureati un momento di collegamento con le imprese e con il mondo del lavoro.

Fatte queste premesse è del tutto ovvio che l’Università non possa fondare la propria didattica sui bisogni immediati delle imprese, o proprie sulle volubili mode del momento contingente e non vi è dubbio che sia opportuno tener ben presente l’aumentato tasso di obsolescenza delle competenze professionalizzanti, anche se per la verità tale argomento sembra meglio attagliarsi alle facoltà tecniche e meno a quelle umanistiche.  Per certi versi appare infatti riduttivo parlare genericamente di “Università” in quanto per una valutazione più approfondita dell’adeguatezza della didattica sarebbe necessario verificare la situazione delle singole facoltà (o addirittura delle singole sedi Universitarie).

Di poi il mondo Universitario dovrebbe quantomeno anche interrogarsi se un’analoga obsolescenza non possa essere attribuita ad alcune delle “competenze generali”, da ripensare e rimodellare proprio in funzione dei sempre più rapidi mutamenti tecnologici e sociali del mondo in cui viviamo, così da far spazio a competenze professionalizzati o anche soltanto a “competenze generali”, nuove e diverse, rispetto a quelle tradizionali.  

Considerato che la mia carriera professionale si è svolta al di fuori dell’Università, non posso che limitare i miei commenti di mero stakeholder al gruppo disciplinare e professionale a cui appartengo, quello giuridico.  Lo farò con un esempio di un fatto realmente accadutomi. Avuto l’opportunità di incontrare un gruppo di universitari, alcuni dei quali in procinto di laurearsi, mi resi conto che poco o nulla sapevano in tema di ristrutturazioni d’impresa, concordati in continuità e simili, che, sfortunatamente, negli ultimi anni hanno assunto una importanza rilevante nella nostra professione. 
Alle mie cortesi rimostranze, gli universitari mi spiegarono che nella loro facoltà tali questioni erano riservate ad un mero esame complementare (a fronte di ben quattro esami obbligatori dedicati al Diritto Romano). Sebbene io sia un certo assertore dell’opportunità dello studio del Diritto Romano, in allora mi sono comunque domandato se non fosse opportuno trovare un qualche riequilibrio nella didattica di quella Facoltà, che consentisse un qualche maggior spazio a delle competenze, anch'esse generali, almeno a mio parere, ma più immediatamente spendibili nel mondo in cui inevitabilmente gli universitari, dopo essersi laureati, dovranno cercare un primo lavoro.


In conclusione, quale che sia l’opinione in merito a che cosa debba insegnare l’Università, ritengo che essa non possa limitarsi a cristallizzare e tramandare la didattica da sempre offerta, ma debba invece tentare di valutarla e se del caso modificarla in funzione dei mutamenti nel frattempo intervenuti nel “mondo di fuori”. E se così facendo ci scappa qualche “competenza professionalizzante” probabilmente gli stakeholders, universitari compresi, ne saranno soltanto contenti ………………….  

© marco bianchi – agosto 2017 riproduzione riservata

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