lunedì 18 dicembre 2017

DOMANDA (E RISPOSTA MIA): LETTERA DI PRESENTAZIONE PROFESSIONALE O LETTERA DI PRESENTAZIONE “PASSIONALE” (NEL SENSO DEGLI IDEALI)

La domanda arriva da Federica (il nome è di fantasia) che si è laureata da poco in Ingegneria (una delle tante branche  …..)  e riguarda la lettera di presentazione.

Considerando che cercando lavoro Federica si rivolge ad altri ingegneri o, diciamo, tecnici. ha scritto una prima lettera (per comodità chiamiamola “lettera professionale”) molto formale, centrata sulla sua formazione, diciamo impersonale e pensata per una mentalità 'quadrata', come quella (immagino io) di un ingegnere. Federica ha poi scritto una seconda versione (sempre per comodità questa la chiamiamo “lettera passionale), dove dichiara la sua 'passione per i temi della green economy, dall’eolico al fotovoltaico, ma le è poi sorto il dubbio che una lettera di presentazione così impostata possa farla passare, agli occhi dell'occhialuto e serio ingegnere, per un'ambientalista scatenata, che non vorrà mai mettersi in casa. Da qui la DOMANDA: meglio la lettera professionale o quella “passionale”.

RISPOSTA

1. La“lettera professionale” – Se Federica si rivolge a società medio grandi non è detto che il suo CV arrivi immediatamente sulla scrivania di un Ingegnere. Più probabilmente finisce su quella di un/una responsabile della Direzione del Personale (altrimenti detta Direzione HR, Direzione Risorse Umane), magari laureato/a in Scienze Politiche (o in Chimica, Lettere Antiche, Psicologia, in HR si trovano le più svariate tipologie di neolaureati) che magari è anche la persona che fa la prima scrematura dei CV e il primo colloquio di selezione. Una lettera solo professionale potrebbe finire per risultare troppo lunga e troppo noiosa se non conoscete il destinatario che magari ha un percorso professionale diverso dal vostro.  

2. La “lettera passionale” – Potrebbe andare bene se Federica la inviasse a una Onlus o a una ONG. Io personalmente rimarrei alquanto perplesso se un neolaureato in giurisprudenza mi scrivesse che vuole lavorare nella mia società per“mettere in pratica i principi di certezza del diritto e di giustizia del contratto auspicati da Francesco Galgano”. “No ragazzo, per carità anch'io apprezzo il Galgano, ma non hai capito, qui noi non vendiamo principi ma vendiamo macchine utensili/caramelle/lavatrici”. 
Estremizzo ovviamente, perché tanto la singola persona che la società devono muoversi  nel rispetto della normativa di riferimento, tanto più oggi dopo l’introduzione del D.Lgs. 231 in materia di responsabilità amministrativa delle imprese e soprattutto con la sempre  maggior diffusione dei concetti di sostenibilità e di Corporate Social Responsibility, intesi come rispetto di principi etici a prescindere dagli obblighi di legge. 

Resta per altro il fatto che, volendo entrare in una società bisogna aver ben chiaro la domanda e la risposta qui di seguito proposte, che rappresentano pur sempre il principale driver di una impresa: “The name of the game? To make money” (sempre nel rispetto delle leggi e dei codici etici che la società si è data).

Considerato che nella lettera di presentazione si può e si deve uscire dalla scansione quasi obbligata che ritroviamo nei CV, a mio parere la lettera dovrebbe essere professionale (senza eccedere …) ma anche personale, nel senso che come i lettori affezionati, prima del mio libro e poi di questo blog, ormai sanno, non si assume (solo) un cursus honorum, un voto, degli esami sostenuti, ma anche un cervello e una personalità. Non ho visto il CV di Federica, ma nelle lettere di presentazione (le due versioni) non riesco neppure a intuire chi è Federica., ma vedo solo l'Ingegnere....

In una lettera di presentazione ci sono due “fil rouge” da evidenziare (ovviamente se è possibile, se ci sono a monte i contenuti): un fil rouge delle conoscenze (percorso universitario + stage / master  congruente con il percorso universitario), e un fil rouge delle competenze e delle abilità personali tali da far intravedere degli skills personali e caratteriali maturati al di fuori dell’Università (e penso  alle esperienze extra-professionali: per esempio  associazionismo, attività agonistiche sportive, lavori a contatto con il pubblico), così da dare una qualche sostanza alle pretese di essere problem solving oriented, di possedere capacità relazionali e simili, ovvero di tutte quelle qualità che di solito, sul posto di lavoro, ti permettono di applicare le conoscenze che hai acquisito in università (il binomio ottimale conoscenze + competenze).

© marco bianchi – riproduzione riservata

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