martedì 11 giugno 2013

DOMANDA: MA COSA MI CHIEDONO DURANTE UN COLLOQUIO DI SELEZIONE?

Domanda legittima per un neolaureato che si trovi a dover affrontare i primi colloqui di selezione. Che però, di per se stessa, fa capire che ci troviamo di fronte a un neolaureato. Mi spiego. Prima di andare a un colloquio di selezione le domande che dobbiamo farci e per cui dobbiamo prepararci sono DUE e non una, ovvero “1. Che cosa potrebbero chiedermi? 2. Che cosa dovrei chiedere io a loro?”. 
Dopo esserci laureati dobbiamo abbandonare l’idea che a fare le domande siano solo gli altri (a mo’ di esame universitario). Seppur nella consapevolezza del diverso ruolo di selezionatore e candidato, fare delle domande durante il colloquio dimostra al selezionatore (i) che avete meditato e soppesato l’idea di fare il lavoro che vi stanno proponendo e non siete soltanto alla ricerca di qualsiasi cosa (poi magari è vero ma è meglio non farlo capire al selezionatore) e 
(ii) se fate le domande giuste potreste dare al selezionatore l’impressione di essere più consapevoli della realtà del mondo del lavoro, o quantomeno più consapevoli di tanti altri neolaureati  che si sono presentati al colloquio  (poi magari  non è vero ma è meglio non farlo capire al selezionatore, come sopra )
Ma chi vi intervista durante il colloquio? Se si tratta di uno Studio Professionale o di una piccola società probabilmente vi troverete davanti quello che sarà il vostro capo diretto. Se invece il potenziale datore di lavoro è una società di medie grandi dimensioni o addirittura una multinazionale, la  selezione di solito si articola in più colloqui e/o coinvolge più selezionatori. Almeno due, ovvero:
·         Selezionatore della Direzione del Personale (Human Resources) (o un consulente di una società di selezione del personale),
·         Il tuo capo diretto, quello che deve decidere se gli piacerebbe che tu lavorassi per lui. 
Fermo restando che è impossibile generalizzare, in quanto ogni selezionatore ha le sue idiosincrasie e un suo set di domande, aggiuntive rispetto a quelle che fanno tutti, le domande possono riguardare:
·         Quello che hai scritto sul tuo CV (e quello che magari ti sei “dimenticato” di scrivere)
·         Il tuo carattere, la tua personalità (e nelle grandi aziende i selezionatori della Direzione del Personale magari ti fanno anche dei quiz vagamente psicologici)
·          Le tue aspettative per il futuro (le domande classiche sono “dove si vede tra cinque anni?” “Cosa vuol fare “da grande”)
·         Perché ha mandato il suo CV proprio a loro (e qui devi cercare di informarti in anticipo su quello che fanno i tuoi potenziali di lavoro, magari andando sul loro sito web, e trovare un qualche  motivo per spiegargli che sono meglio degli altri).
Le domande da fare “a loro”? “Che cosa farò io da Voi?” è quella più scontata: se ti capita un selezionatore del personale che vede tutti i candidati da assumere, qualunque sia il loro background professionale, probabilmente ti dà poche indicazioni perché anche lui/lei non lo sa poco. Maggiori informazioni le ottieni se/quando incontri il tuo potenziale capo (anche se la risposta vera la pensa ma non la dice “dipende da quello che dimostrerà di saper fare ….”).  
Le altre domande da fare, quelle meno scontate? Sono quelle che riguardano l’Unità Organizzativa / il Dipartimento dove potresti essere inserito (se scelgono te): “Nello specifico di che cosa si occupa, quante persone ci lavorano, chi è il capo e lui da chi dipende, con chi dovrò agire, solo con altri colleghi della stessa Unità Organizzativa / Dipartimento, o con colleghi di altre Unità Organizzative, o proprio con persone esterne (clienti, fornitori, agenti)”. In estrema sintesi devi cercare di capire con chi ti relazionerai se vinci la selezione...

© marco bianchi – riproduzione riservata

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venerdì 24 maggio 2013

DOMANDA: MA QUANTO SONO DISTANTI IL MONDO DELL’UNIVERSITA’ E IL MONDO DEL LAVORO?

Fatte le dovute eccezioni per questa o quella facoltà, per questa o quella sede Universitaria, la risposta  sembra semplice. Troppo spesso sono molto distanti, quanto  possono esserlo la teoria e la pratica. Con una differenza: mentre siamo noi che paghiamo per entrare in università (tasse universitarie + libri + tot anni passati a studiare, il tutto a mo’ di corrispettivo per la laurea che porteremo a casa alla fine del percorso), se riusciamo a entrare nel mondo  del lavoro (seppur con tutti i problemi  che ci sono oggi) sono gli altri che  pagano noi, e ovviamente si aspettano che noi si abbia delle conoscenze e si sia in grado di svolgere una attività lavorativa utile e funzionale agli obiettivi di chi, dopo averci assunto, ci paga un corrispettivo  Offro qui due considerazioni:

CONSIDERAZIONE 1. Tenuto conto che mi sono laureato in Giurisprudenza è probabilmente inevitabile che mi venga spontaneo fare un esempio relativo a tale facoltà. Un paio di settimane or sono  mi è capitato di fare una chiacchierata con un gruppo di studenti di giurisprudenza. Nella loro facoltà si ritrovano con ben quattro esami di Diritto Romano obbligatori (Storia, Istituzioni ecc.). In compenso Diritto Fallimentare è soltanto  un esame complementare (e quindi potete anche sceglierne un altro e laurearvi senza nulla sapere in materia di diritto fallimentare). Domanda: ma secondo voi sia che facciate l’avvocato in uno Studio Legale piuttosto che nell'Ufficio Legale di un’Azienda,  quali sono i settori che ancora tirano (nel senso che ci sono ricerche di neolaureati in giurisprudenza?):  almeno a mio modo di vedere ce ne sono almeno due, ovvero Compliance (i.e. Responsabilità Amministrativa d’Impresa ex D.Lgs,231) e ristrutturazione d’impresa (i.e. concordato in continuità, concordato preventivo ecc. insomma tutta roba che rientra nell'ambito degli insegnamenti di diritto fallimentare).  Immaginatevi allora la risposta di un selezionatore “Quattro esami in Diritto Romano, e tutti passati con 30 e Lode! Complimenti dottore. Sfortunatamente le richieste di pareri legali su questioni di diritto romano da parte dei nostri clienti al momento sono pari a zero. Mi dica piuttosto quali conoscenze ha in materia di concordato in continuità …”.

CONSIDERAZIONE 2: Spesso arrivate su questo blog  tramite una ricerca su google. Tra le ricerche apparentemente più gettonate c’è quella relativa al fatto che nel CV Europass non è previsto / non è indicato dove inserire la votazione di laurea e il titolo della tesi. Da qui la stringa di ricerca “NEL CV DOVE METTO IL VOTO DI LAUREA?”. Qul che mi sorprende è che la domanda sembra implicare l’inconscia convinzione che di fronte ad una domanda la risposta sia da ricercare “fuori”  da qualcun altro, da un Professore, da un libro, da Internet, da un blog. In realtà dovremmo cercare di essere noi a darci una prima risposta: se il CV EUROPASS non prevede l’indicazione di una qualche informazione che ci sembra fondamentale o comunque di interesse per il potenziale selezionatore (e sicuramente, almeno nel CV, tali sono voto di laurea  e titolo della tesi)  dobbiamo modificare il modello di CV. Conviene abituarsi fin da subito,  perché poi quando siamo sul posto di lavoro le risposte dobbiamo trovarle noi (e, come ho scritto su “Mi sono laureato! E adesso?” "Ricordati che nel mondo del lavoro esistono più domande che libri con le risposte …quelle devi imparare a trovarle da solo”.

© marco bianchi – riproduzione riservata

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giovedì 2 maggio 2013

DOMANDA: MA LA SEZIONE INTERESSI EXTRA PROFESSIONALI LA METTO NEL CV? E COSA CI METTO?

Io ho sempre pensato che sarebbe sbagliato non inserire nel CV una sezione dedicata agli interessi extra-professionali (e questo anche se nel CV Europass a cui era dedicato il post precedente di interessi extra-professionali non li prevede, ma per me questa è soltanto l’ennesimo difetto di Europass). Tale considerazione vale per  i neolaureati ma anche per chi un lavoro già lo ha (magati non è così per  quelli che si candidano quali possibili Amministratori Delegati della grande società, ancghe perché per la verità a quei livelli spesso gli A.D. di interessi extra-professionali non ne hanno più da tempo) .
Perché suggerisco di  inserire gli Interessi Extra.Professionali nel CV? Perché non si assume (o non si  dovrebbe assumere) solo un voto di laurea o un percorso universitario ma anche una persona a 360°  e quindi dal CV si dovrebbe riuscire ad intuire qualcosa della personalità, del carattere, degli interessi e delle esperienze (quali che esse siano, e quindi anche in ambito non professionale)  del candidato che sta dietro al CV che è planato sulla scrivania del selezionatore.
Al neolaureato gli "interessi extra-professionali" servono per cercare di differenziarsi rispetto alla marea degli altri CV. Quindi nel CV fai una sezione a loro dedicata (di solito è l'ultima al fondo del CV) e non indicare degli interessi generici (viaggiare, leggere, ascoltare musica) ma cerca di far vedere che hai una tua personalità (viaggiare DOVE, leggere COSA, ascoltare QUALE Musica?). Due righe e mezzo al massimo, Interessanti gli interessi extraprofessionali che fai con altri (attività sportiva, cori alpini, associazioni studentesche apolitiche e simili). Maggiori informazioni sugli interessi extra-contrattuali alle pagg. 69-72 di “Mi sono laureato! E adesso?”.
© Marco Bianchi riproduzione riservata 

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martedì 2 aprile 2013

DOMANDA (VOSTRA) E RISPOSTA MIA: SU “MI SONO LAUREATO! E ADESSO” INDICA UNA SERIE DI ERRORI DA NON FARE QUANDO SI SCRIVE IL CV. PUO’ FARE DEGLI ESEMPI DI CV CHE HA SCARTATO SPIEGANDO PERCHE’?

Prima di tutto un consiglio. Quando avete finito il vostro CV fatelo leggere a qualcuno per verificare che non ci siano errori di battitura. A furia di correggere, cesellare, leggere e rileggere un testo spesso si finisce per seguire il senso e la logica che stanno dietro alle parole, e questo spesso fa sì che si corra il rischio di non vedere errori banali, quali quelli di battitura (e, essendo, tra le altre cose, uno scrittore, parlo per esperienza ….).

Detto questo vediamo qualche “errore” vero

1. “Diploma di Laurea conseguito il 12 Novembre 2003 con votazione di 110/110 con lode”. Prima di tutto congratulazioni mia cara neo-laureata dell’Università di Bologna di cui non ricordo il nome (non ho conservato il CV…). Ma perché nel tuo CV non hai inserito il titolo della tesi con cui ti sei laureata? Non dirmi che ti sei fatta tutta l’università pensando che l’unica cosa che veramente sarebbe importata al tuo potenziale futuro datore di lavoro sarebbero stati i voti da te collezionati negli esami e il 110 e lode, come se il 110 e Lode fosse un valore assoluto in sé e per sé… . Oppure eri soltanto troppo pigra, o troppo presa da altri impegni, per badare a quelle che consideravi, a torto, delle informazioni di secondaria importanza (vuoi mettere, con il 110 e lode….). CURRICULUM SCARTATO

2. “Durante la preparazione della tesi e dopo essermi laureato ho avuto l’onore di essere stato scelto dal Chiarissimo Prof. Filippo Maria Carneade, per assisterlo in un progetto di ricerca commissionato dal Piuff – Progetto Interuniversitario per lo Studio delle Forze Fisiche, la cui relazione finale è stata presentata  durante il Convegno della Associazione dei Docenti di Ingegneria Industriale tenutosi a Brighton il 22 Settembre  2005. E bravo, ecco un altro che si crogiola in quelli che considera i successi del passato. Boh, si vede che c’è a chi piace fare il portaborse…  E poi, “Chiarissimo Prof.  Filippo Maria Carneade? Ma chi era costui? Qui ci serve un Ingegnere che si occupi di  processi di produzione, lean management e ottimizzazione della supply chain …..” CURRICULUM SCARTATO  

3. “Curatore e Amministratore del sito web “cavalli pazzi”. Occhiata al sito e ai suoi contenuti . Mah! Boh? Se avessimo messo un annuncio per Marketing, Pubblicità e simili, forse … E poi qui di “pazzi” ne abbiamo già abbastanza. Per il momento questo CV mettiamolo da parte e vediamo gli altri 99. CURRICULUM ACCANTONATO.

In generale direi che in un CV spesso  tendiamo a scrivere quello che è importante per noi. Facciamolo pure ma poi fermiamoci e domandiamoci se quello che abbiamo scritto è importante anche per il selezionatore   (e chiediamoci se per caso abbiamo dimenticato di scrivere qualcosa che per noi non è importante ma potrebbe esserlo per il selezionatore ,vedi per esempio gli interessi e le attività extraprofessionali)

© marco bianchi – riproduzione riservata

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venerdì 29 marzo 2013

DOMANDA: “SPESSO I NEOLAUREATI NON HANNO IDEA DI COME FUNZIONI IL MONDO DEL LAVORO”. LO DICE FREQUENTEMENTE SU “MI SONO LAUREATO! E ADESSO?” E ANCHE NEI POST. MA COME FUNZIONA IL MONDO DEL LAVORO?

Premetto che personalmente ritengo che in prima battuta dovrebbe  essere l’Università a introdurre / spiegare / rendere consapevoli gli studenti delle dinamiche del mondo del lavoro (come scrivo nel libro, “quello che c’è li fuori, fuori dall’Università”). Comunque vediamo alcune differenze tra Università e mondo del lavoro (con particolare riferimento alle imprese.

 UNIVERSITA’ E MONDO DEL LAVORO

1. LE DUE PIRAMIDI A CONFRONTO
Proviamo a immaginare l’Università e l’Impresa come due “piramidi organizzative”. L’Università è una piramide tutto sommato semplice, con solo due livelli, sopra i professori, sotto gli studenti. L’approccio è “top-down”: il professore vi dice cosa studiare, come studiare e quando studiare (in tempo per gli esami…). La disciplina professionale che vi riguarda è soltanto quella propria del corso di laurea che frequentate.
La piramide lavorativa è molto più complessa in quanto è la somma di tante unità organizzative (Funzioni, Dipartimenti, Business Unit) e di tante competenze e capacità professionali, diverse tra loro, che interagiscono tra loro (Progettazione, Produzione, Marketing, Vendite, Finanza, Information Tecnology, Risorse Umane, Legale, Relazioni esterne e comunicazione ecc).  Necessariamente bisogna interagire con altre professionalità e altre competenze. Lo scopo di tutti non è “sapere” quanto piuttosto comunicare e interagire per raggiungere gli obiettivi della società (produrre, vendere, fare profitto, espandersi si un nuovo mercato, sviluppare un nuovo prodotto /un nuovo segmento di mercato). La conoscenza applicata e quindi creatività, “sapere” ma anche e soprattutto “saper fare”. Ovviamente in entrambe le piramidi i neolaureati stanno sui gradoni in basso … (fatta eccezione per raccomandati di vario genere).

2. LA LINGUA
L’Italiano, l’Inglese, il Tedesco, il Cinese? Anche. il problema però che spesso in Università finiamo per adottare un linguaggio e un approccio culturale e metodologico che è quello proprio del nostro corso di laurea. Ci capiamo tra di noi e con i professori (vabbè con i professori magari non sempre) e ci appassioniamo di questioni ipertecniche. In Università quando parliamo di un argomento professionale corriamo il rischio di parlare come i libri che abbiamo studiato. Se tutti portassero il proprio linguaggio l’azienda diverrebbe una babele. E allora bisogna cercare di sforzarsi di limitare l’uso di qualsiasi “gergo” professionale e cercare di orizzontarsi per capire quello delle altre professionalità.

3. L’APPROCCIO ORGANIZZATIVO E I TEMPI
Tutto sommato in Università l’approccio è semplice e ripetitivo (e relativamente programmabile):  lezione>libro>studio>esame>lezione>libro>studio> esame>lezione>libro> studio> esame>lezione> libro>studio>esame> ecc. ecc. In una azienda l’approccio di solito è molto più complesso e poco o punto programmabile (quantomeno dal neolaureato appena entrato in azienda). In Università potevamo sceglierci i tempi (“mi sono preso sei mesi in più ma la tesi è venuta proprio come la volevo”). In azienda i tempi vengono dettati dal mercato, dai clienti, dai colleghi, dal capo) e non puoi permetterti di rispondere una settimana dopo perchè vuoi preparare qualcosa di perfetto. Se lo fai scopri che quando la tua risposta è finalmente pronta e risponde ai tuoi canoni poi magari ai tuoi clienti non interessa più o proprio non serve più.

4. COMPETIZIONE  
Come spiego in “Mi sono laureato! E adesso?” personalmente ritengo che in Università la competizione, se paragonata a quella che esiste nel mondo del lavoro, sia prossima a zero: il risultato è assicurato in quanto prima o poi una laurea la prendiamo tutti.  In azienda la competizione è elevata, sia con le altre aziende concorrenti, e,a volte, anche con i colleghi visto che aumenti di stipendio e promozioni, ammesso che di questi tempi ce ne siano ancora, non ci sono per tutti.

“Last but not least” un consiglio tratto pari pari da “Mi sono laureato! E adesso? N.2. La ricerca continua” : RICORDATI NEL MONDO DEL LAVORO ESISTONO PIU' DOMANDE CHE  LIBRI CON LE RISPOSTE………  QUELLE DOBBIAMO IMPARARE A TROVARCELE DA SOLI

(c) Marco Bianchi riproduzione riservata 


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domenica 24 marzo 2013

DOMANDA: NELLA PRIMA PREFAZIONE DEL LIBRO SCRIVE CHE CIÒ CHE LO HA SEMPRE COLPITO È L’INGENUITÀ CHE TRAPELAVA NEI RAGAZZI SELEZIONATI. COSA INTENDE?


Quando facevo delle selezioni troppo spesso sembrava il neolaureato/la neolaureata che avevo davanti, più o meno consciamente, assumesse lo stesso atteggiamento di quando doveva sostenere un esame in Università. Io sto dietro la scrivania, come il professore, e quindi faccio le domande, lui/lei deve limitarsi a dare le risposte giuste.
Spesso quando dicevo “bene, adesso mi faccia lei delle domande” spesso il neolaureato rimaneva sorpreso e non sapeva cosa chiedere. In realtà  dietro questo atteggiamento quasi sempre c’è la non conoscenza di come funzioni e di come sia strutturata un’azienda, per questo nel libro ho parlato di “ingenuità”.
Poi magari qualche domanda saltava fuori. Quella più comune era “ma che cosa dovrei fare io?”. Legittima curiosità, ma prima di questa, sono altre le domande le domande da fare “Che cosa fa Lei che dovrebbe essere il mio capo, con quali e quanti collaboratori, con quale ruolo e con quale responsabilità all’interno della società? Con chi interagite, con i colleghi di altri dipartimenti della società, o anche con “esterni” clienti, fornitori, distributori)”. Solo dopo aver cercato di capire l’ambito lavorativo in cui verresti inserito, puoi domandare “e io lì cosa dovrei fare?”.
Invece mi innervosisco leggermente quando le uniche domande (è capitato, raramente, ma è capitato..) sono “Ma che orario dovrei fare, quante ferie ci sono?”. Ma come, non sei ancora entrato, e ti preoccupi solo di quando si esce ….      

© marco bianchi – riproduzione riservata

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domenica 24 febbraio 2013

DOMANDA (VOSTRA) E RISPOSTA (MIA): PERCHE’ FARE UN MASTER DOPO ESSERSI LAUREATI?


Non è certo necessario fare un Master post-laurea ma in determinate circostanze può essere utile. E allora come rispondere alla domanda “perche’ fare un master dopo essersi laureati?” Direi che la risposta dipende anche dai motivi che vi spingono a fare un Master.  

 I MOTIVI SBAGLIATI PER SCEGLIERE DI PARTECIPARE AD UN MASTER DI ALTA FORMAZIONE 

          E’ un “comodo parcheggio” in attesa che prima o poi qualcuno si decida a convocarti per un colloquio di selezione;

          E’ un tranquillizzante ritorno al passato. “Finalmente si torna in aula con qualcuno che mi spiega tutto quel che c’è da sapere”

          E’ un modo per “fare Curriculum” (il chè è anche vero, ma se questa è l’unica motivazione, non è granchè)

          E’ la via maestra per avere la certezza di trovare un posto di lavoro 

I MOTIVI GIUSTI PER PARTECIPARE AD UN MASTER DI ALTA FORMAZIONE
          E’ un Master funzionale al tuo percorso universitario ed all’ambito professionale dove intendi inserirti

          E’ un Master che ti serve per riorientare la tua ricerca do in primo lavoro in un ambito professionale mon immediatamente correlato (ma neppure troppo distante) con le conoscenze che hai acquisito in Università

          E’ un Master accreditato ASFOR o che comunque nella sostanza risponde alla gran parte dei criteri sulla base dei quali l’ASFOR concede il proprio accreditamento  ( www.asfor.it )

          Non è una ripetizione sommaria di tutto quello che hai già studiato in Università

          I relatori sono anche professionisti e/o manager che hanno percorso la carriera professionale che tu vorresti intraprendere e ti possono trasferire delle competenze e non solo conoscenze (“il Master come Ufficio di collocamento privilegiato”)

          Al termine del Master ti viene offerto un tirocinio formativo (questo è un PLUS)
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lunedì 11 febbraio 2013

DOMANDA (DI UN LAUREATO IN RELAZIONI INTERNAZIONALI) E RISPOSTA (MIA): UNA LAUREA IN GIURISPRUDENZA DOPO UNA TRIENNALE IN RELAZIONI INTERNAZIONALI?

Il quesito riguarda un neolaureato (triennale) in Relazioni Internazionali che adesso vorrebbe aggiungere una seconda laurea (laurea a ciclo unico in Giurisprudenza) e commenta “Tutti dicono che sono folle perché a 28/29 anni nessuno più sarà disposto ad assumermi, io non ci credo e spero un giorno di poter lavorare come avvocato in un grande studio legale specializzato in IP. L'età sarebbe realmente un deterrente? E sulla necessità di inserire il titolo della tesi nel CV, posso sorvolare su titolo della tesi della laurea triennale?”.
RISPOSTA: In linea generale direi che ritardare l’entrata nel mondo del lavoro per prendersi una seconda laurea è un azzardo. Non è che con due lauree ti danno due stipendi o hai doppia possibilità di trovare un posto di lavoro.  A maggior ragione è un azzardo se, dopo essersi laureati, seppur con una triennale, si ritiene di avere delle buone possibilità di riuscire a entrare nel mondo del lavoro.

Questo in linea generale, poi nei singoli casi ci si può rendere conto che in realtà la laurea che abbiamo preso riguarda un qualcosa che proprio non ci interessa o che di porte nel mercato del lavoro ne apre pochine pochine. L’importante è non decidere di prendere una seconda laurea per poter rimanere ancora “parcheggiati” in Università.

Fatte queste premesse non ho la palla di cristallo e non ho la risposta. Però 1. L’età in effetti può essere un deterrente. 2. Occhio al target: lavorare in un grande Studio Legale occupandosi di IP (e se trovassi un grande studio legale che ti offre di lavorare nel Dipartimento Litigation o Finance?). 3. Perché non mettere nel CV il titolo della tesi della triennale (anche se, nell’eventualità che tu faccia poi Legge la tesi “importante” diventa quella con cui ti sei laureato in Giurisprudenza). 4. Storia vera: Anni fa una conferenza sui contratti internazionali. Tra i partecipanti una ragazza molto sveglia che faceva un sacco di domande pertinenti, laureata in Relazioni Internazionali. Alla fine si informa con il relatore per sapere se può proporsi per un tirocinio presso il Dipartimento Legale di una grande azienda. No non è laureata in Giurisprudenza. La ragazza insiste e il relatore alla fine dice “Se lei è certissima consideri la possibilità di iscriversi a Giurisprudenza, magari essendo laureata in Relazioni Internazionali le abbuonano qualche esame”. Anni dopo i due si incontrano per caso e la ragazza spiega che ha seguito il consiglio, si è laureata in giurisprudenza e lavora in uno Studio Legale. A lei l’azzardo è andato bene ma non so a quanti sia finita altrettanto bene. 5. Volendo prendere una seconda laurea, proprio per via del deterrente dell’età l’ideale sarebbe laurearsi alla svelta (senza scendere troppo nella media) e magari fare nel frattempo dei tirocini professionalizzanti: “laureato a 28 anni sì, ma con due lauree e un po’ di esperienza professionale”.

Ma come ho detto non ho la palla di cristallo e non ho la risposta.

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domenica 3 febbraio 2013

DOMANDA (VOSTRA) E RISPOSTA (MIA): COME GESTIRE IL PERCORSO UNIVERSITARIO (IN FUNZIONE DEL POST-LAUREA)

Mi è arrivato un commento al post  “DOMANDA VOSTRA (E RISPOSTA MIA): MI SONO APPENA LAUREATO, CHE FACCIO? (OVVERO IL KIT DI SOPRAVVIVENZA DEL NEOLAUREATO ALLA CACCIA DI UN PRIMO LAVORO)” che interessa a tutti. In realtà più che un commento si tratta di due domande. Trascrivo qui la prima domanda (alla seconda rispondo con un post successivo)
“DOMANDA: “Nel libro ho letto della necessità di iniziare già durante il percorso di laurea a costruire il proprio CV scegliendo con lungimiranza gli esami del percorso di studi e l'argomento della tesi. In giro però ci dicono che dobbiamo imparare ad essere flessibili, pronti a cambiare lavoro periodicamente. E allora che senso ha costruirsi una specializzazione fin dagli anni della laurea? Se non si trova nulla di attinente nelle offerte di lavoro (o solo stage al termine dei quale si viene puntualmente scaricati), come fare a "riciclarsi" con un CV che va diritto verso un'unica meta?”  

RISPOSTA:   Possiamo dividere il problema in due parti. 

PRIMA CONSIDERAZIONE – I CRITERI DI SCELTA:  i criteri che utilizziamo per scegliere gli esami “complementari”, quelli per l’appunto dove siamo noi a scegliere tra una pluralità di corsi previsti da corso di laurea che stiamo frequentando. Vediamone alcuni (con degli esempi tratti dalla mia esperienza personale fatta a Giurisprudenza nella mia facoltà)  

·         Gli esami facili, quelli che prepari in quindici giorni, prendi un bel voto e poi ti dimentichi tutto ( “Organizzazione Internazionale”, che come fatto nella mia facoltà si è rivelato noioso e completamente inutile)

·         Gli esami con una  scarsa o nulla utilità pratica ma dove però il Professore da 30 praticamente a tutti (“Diritto Italiano della Pesca Sportiva”)

·         Gli esami su una qualche materia che molto difficilmente ti toccherà poi gestire in ambito professionale (quando ho fatto l’Università ho deciso che Diritto Canonico e Diritto Ecclesiastico rientravano in questa categoria…).

Se hai già un lavoro che ti aspetta finita l’Università (papà è un professionista di successo e appena ti laurei entri nello Studio) magari puoi usare criteri come quelli sopra indicati. Altrimenti  conviene  cercare di selezionare i complementari sulla base della loro potenziale utilità per la futura ricerca per il “post-laurea”  

SECONDA CONSIDERAZIONE:  A mio parere, il suggerimento di essere flessibili riguarda più che altro la scelta del primo lavoro. Come ho scritto in passato di questi tempi il primo lavoro che si riesce ad agguantare non è mail “il lavoro ideale”, a quello ci si arriva, se ci si arriva, più in là, dopo aver cambiato posto e tipologia di lavoro (e aver scoperto nel frattempo che cosa realmente ci piace fare).Questo non vuol dire accettare un lavoro che non ha nessuna attinenza con il nostro percorso universitario, semplicemente non aspettare di entrare nel mondo del lavoro che ci si presenti quello che noi a tavolino abbiamo giudicato essere il nostro "lavoro ideale". 

Poi anche in Università bisogna essere flessibili e, a meno di essere certissimi del percorso professionale che si intende percorrere fuori dall'Università,  conviene non iper specializzarsi (anche perché magari poi dopo esserci laureati corriamo il rischio di scoprire che ci siamo iperspecializzati in qualcosa che nella pratica non ci piace poi così tanto…). Ritengo però che durante l’Università ci si possa rendere conto dei percorsi professionali che, tra quelli disponibili per chi segue il nostro corso di laurea, NON ci piacciono e allora si cerca di “specializzarsi” in quelli che sembrano piacerci.

SULLA TESI DI LAUREA: Visto che comunque bisogna farla cerchiamo di dedicarla a un argomento (i) “spendibile” nel mondo del lavoro e (ii) che ci interessi (e comunque chiedevo sempre spiegazioni quando mi trovavo davanti un candidato che mi spiegava che il suo sogno era sempre stato dedicarsi all’internazionalizzazione delle imprese e che aveva fatto una tesi in Diritto Costituzionale)

COME RIORIENTARE IL CV? Probabilmente con un tirocinio “buono” e/o con un Master di specializzazione dedicato all’ambito professionale dove vuoi lavorare (facendo molta attenzione alla scelta del Master)


© marco bianchi – riproduzione riservata

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giovedì 10 gennaio 2013

DOMANDA VOSTRA (E RISPOSTA MIA): NEL MIO CV COME GESTISCO LA SEZIONE “ESPERIENZE PROFESSIONALI”?

In un Curriculum la Sezione “Esperienze Professionali” è quella dedicata all’indicazione delle attività lavorative già svolte, il ché è abbastanza facile per una persona di una certa età che si barcamena già da tempo nel mondo del lavoro (o magari, perché no, siamo ottimisti, ha già fatto una discreta carriera). 
Più complicata la situazione di un neolaureato / di un giovane neolaureato che non fosse altro per una questione anagrafica di “esperienze professionali” ne ha poche o nessuna.  Se le vostre esperienze professionali sono pari a zero e state scrivendo il vostro primo CV la questione non si pone (o meglio è proprio la sezione “esperienza professionale” che non si pone nel CV). Vediamo invece come gestire chi ha già qualche esperienza da mettere nel CV. 

1. La posizione della Sezione “Esperienze Professionali” nel CV – Dopo aver inserito i propri dati anagrafici può capitare che la prima sezione sia proprio quella dedicata alle “Esperienze Professionali”.  PERO’ ATTENZIONE: Di solito un tale inizio si trova nei CV di persone che lavorano da diversi anni e per cui le, ormai lontane, esperienze universitarie ormai sono relativamente importanti. Nel CV di un giovane laureato metterei prima la sezione “Istruzione e Formazione” e poi quella delle “Esperienze Professionali”

2.  Quali sono le “esperienze” da inserire nella Sezione “Esperienze Professionali”? Per capirlo bisogna ricordare che la parola chiave è “professionali”. Se durante il periodo universitario avete lavorato, anche per brevi periodi, presso una qualche società / studio professionale / istituzione pubblica queste sono esperienze professionali, anche se magari non sono direttamente collegate (o proprio non sono collegate) con la laurea che vi siete presi, perché comunque servono a dimostrare che avete una consapevolezza delle dinamiche proprie del mondo del lavoro (relazioni con capo, colleghi, clienti, fornitori – lavoro di gruppo i.e. con colleghi che hanno professionalità diverse dalle vostre). E tutti i lavori casual che avete fatto durante l’Università unicamente per raggranellare un po’ di quattrini, quelli che in un post precedente ho chiamato, usando la definizione di una neolaureata, “lavoretti” (animatore, barman, pizzaiolo e simili)? Quelli ili metterei in un’altra sezione, “Esperienze Extra-Professionali”, insieme a volontariato e attività agonistiche sportive.  

3. Come “registro” nel CV le “Esperienze Professionali”? In quasi tutti i CV di neolaureati che mi è capitato di vedere le “Esperienze Professionali” venivano raccontate in maniera ipersintetica, tipo “dal/al impiegato presso l’Ufficio Marketing della Acme S.p.A.”, al più con qualche parola in più su quello che il/la neolaureato/a facevano. E’ vero che in un CV bisogna essere sintetici e non verbosi, però, almeno a mio parere, lo standard di riferimento per un CV non è neppure quello del telegramma.  Cercando di essere sintetici, potrebbe essere interessante aggiungere poche parole per spiegare (i)di cosa si occupa, quanto è grande la Acme S.p.A., (fatturato / numero di dipendenti) (ii) da chi si dipendeva, chi era il capo e (iii) chi erano gli interlocutori esterni / interni del/della neolaureato/neolaureata (colleghi di altre funzioni aziendali, clienti, fornitori, agenti, distributori).sui interlocutori esterni). E’ vero che si tratta di informazioni che potranno essere dettagliate durante un eventuale colloquio, ma al colloquio di selezione bisogna arrivarci proprio attraverso il CV. Se è possibile inserire tali informazioni si “arricchisce” il CV e ci si differenzia dalla concorrenza.  


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